giovedì 29 luglio 2010

Per combattere la disoccupazione, Kathmandu leva il divieto di espatrio verso l’Iraq

Il governo di Kathmandu ha tolto il divieto di espatrio verso l’Iraq, che era in vigore da sei anni. La decisione segue l’ordine del Comando centrale Usa a Baghdad che nei giorni scorsi ha chiesto il rimpatrio di tutti i lavoratori migranti illegali impiegati nelle basi americane, tra cui oltre 30mila nepalesi. Per Kathmandu la fine del bando è un modo per sostenere l’economia del Nepal, che dipende per oltre il 40% dalle rimesse dei lavoratori migranti all’estero. "Abbiamo tolto il divieto – afferma il segretario nepalese agli esteri Madan Kumar Bhattarai – considerando l'attuale situazione di disoccupazione nel Paese e abbiamo chiesto all'inviato americano in Nepal, Scott H. Delisi, di riconsiderare la decisione."
Il governo del Nepal ha vietato l’emigrazione verso l’Iraq, dopo che nel 2004, 12 lavoratori uccisi nepalesi sono stati uccisi dagli estremisti islamici. Il fatto aveva ha scatenato una serie di rappresaglie contro la popolazione musulmana residente in Nepal. Nonostante il divieto e i rischi, in questi anni migliaia di persone hanno abbandonato il Paese per recarsi in Iraq. Qui lavorano come inservienti nelle basi militari, oppure vengono assoldati come operatori di sicurezza dalle compagnie straniere. Secondo la polizia nepalese, ciascun migrante paga fino a 3mila euro ai trafficanti di uomini per poter espatriare. Il fenomeno coinvolge anche indiani e filippini, che insieme ai nepalesi sono i lavoratori più richiesti dalle agenzie straniere con sede in Iraq.

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